Back to top

COSTITUZIONE

Diario Civile
Francesco Pallante
Francesco Pallante
francesco.pallante@unito.it

Professore associato di Diritto Costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino

gli articoli di Francesco Pallante

Il green pass e la Costituzione

Il green pass è criticabile? Ovviamente sì. Alcuni profili della sua regolazione sono tutt’altro che convincenti. Il punto, però, è che tutte le critiche di merito, su cui sarebbe opportuno si concentrasse il dibattito, risultano indebolite dal tentativo di “forzare la mano”, sventolando allarmisticamente profili di incostituzionalità dal fondamento inconsistente.

Tra i rilievi critici riservati al green pass, tre sembrano maggiormente significativi dal punto di vista del diritto costituzionale.

Per il primo rilievo, il green pass sarebbe un provvedimento lesivo del principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione), perché discrimina tra cittadini vaccinati e cittadini non vaccinati, impedendo ai secondi il pieno godimento dei loro diritti costituzionali. In realtà, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha da sempre precisato che il principio di uguaglianza non impone affatto di trattare tutti nello stesso modo: impone di trattare nello stesso modo coloro che sono, tra loro, simili e di trattare diversamente coloro che sono, tra loro, diversi. Per esempio, dare le borse di studio solo agli studenti bisognosi, e non anche agli studenti non bisognosi, non è una violazione del principio di uguaglianza, perché bisognosi e non bisognosi non sono, tra loro, uguali. Allo stesso modo, i vaccinati non sono uguali ai non vaccinati, perché, se è vero che possono anch’essi positivizzarsi, ammalarsi di Covid-19 e contagiare gli altri, è altresì vero che, per loro, è meno probabile che ciò accada e, se anche dovesse accadere, comunque la malattia per loro produce conseguenze meno pericolose. Dunque, indirettamente, i vaccinati proteggono i non vaccinati (a) sia perché si ammalano di meno, (b) sia perché, se anche si ammalano, sono meno contagiosi, (c) sia perché, se anche si ammalano, hanno minore necessità di cure sanitarie, lasciando le risorse del Servizio sanitario nazionale libere di intervenire a tutela degli altri malati (di Covid-19 o altre patologie): per tutti questi motivi, dunque, il green pass consente ai vaccinati di partecipare in relativa sicurezza – e comunque mantenendo sempre attive tutte le precauzioni relative a mascherine, distanziamento fisico ecc. – ad alcune attività sociali dalle quali è, invece, meglio che siano esclusi i non vaccinati. Semmai, si potrebbe criticare il fatto che il green pass sia rilasciato, sia pure per sole 48 ore, anche a coloro che si sono sottoposti a tampone, dal momento che la scienza ci dice che i tamponi sono un indice di assenza di positività o malattia ancora meno sicuro del vaccino. Il che consente di aggiungere che non è vero che il green pass esclude i non vaccinati dal godimento di taluni diritti costituzionali, poiché i non vaccinati possono sempre ottenere il green pass, sia pure per il breve periodo di 48 ore, sottoponendosi a tampone. Ma è chiaro che questo del tampone è un escamotage in assenza del quale il green pass si trasformerebbe in obbligo vaccinale.

A ciò si collega il secondo rilievo, per il quale il green pass sarebbe un provvedimento lesivo dell’art. 32, comma 2, Costituzione, ai sensi del quale solo la legge può imporre un trattamento sanitario obbligatorio, come il green pass di fatto sarebbe; e, invece, a imporre tale obbligo è stato un decreto-legge. Tale rilievo è ancora meno consistente del primo, dal momento che, come anche riconosce la granitica giurisprudenza della Corte costituzionale, il decreto-legge è un atto definito dalla stessa Costituzione «avente forza di legge» e, dunque, può fare le stesse cose che può fare la legge (tanto più che è poi, comunque, destinato a essere convertito in legge entro 60 giorni). Dunque, salvo nel caso la Costituzione richieda espressamente che la materia sia disciplinata dalle Camere (c.d. “riserva di legge formale”), come non avviene in questo caso, la riserva di legge può essere validamente soddisfatta anche tramite decreto-legge. Diverso sarebbe se, dal piano giuridico, la critica si spostasse sul piano politico: la legge, infatti, presuppone un rispetto per il Parlamento – l’organo in cui tutto il popolo è rappresentato – che il decreto-legge, atto del Governo, invece, esclude.

Per il terzo rilievo, il green pass sarebbe un provvedimento lesivo del diritto dell’Unione europea, perché in contrasto con il regolamento (UE) 2021/953 approvato dal Parlamento e dal Consiglio. Tale regolamento, nell’introdurre un certificato verde digitale per agevolare la libera circolazione dei cittadini nell’UE durante la pandemia da Covid-19, ha stabilito il divieto di discriminare chi non è vaccinato. Ora, anche a prescindere che tale divieto non è contenuto nel testo del regolamento, ma in uno dei molti «considerando» iniziali e che si riferisce a una misura diversa da quella decisa dal legislatore statale, il fatto è che il regolamento europeo intende facilitare la circolazione tra gli Stati, superando eventuali misure restrittive introdotte da ciascuno di essi, mentre il decreto legge n. 52/2021, che prevede il green pass, si occupa della circolazione interna all’Italia e dell’accesso a singoli servizi. È una questione di ambito di applicazione: il diritto europeo prevale, se adeguatamente dettagliato, sul diritto interno, imponendone la non applicazione, solo nell’ambito delle competenze proprie dell’Unione europea: e la circolazione interna agli Stati dei cittadini di quegli Stati non rientra tra le competenze dell’Unione europea.

Infine, visto che anche questo argomento da alcuni è stato speso, è necessario precisare che non è affatto vero che, mancando un vero e proprio obbligo vaccinale, in caso di danni derivanti dalla vaccinazione lo Stato non sarebbe tenuto all’indennizzo nei confronti dei danneggiati. Anche qui, una solidissima giurisprudenza della Corte costituzionale ha da tempo riconosciuto la piena indennizzabilità dei danni patiti da parte di soggetti che hanno volontariamente deciso di aderire a campagne di vaccinazione facoltative ma raccomandate (com’è, per esempio, il caso dei vaccini anti-influenzali).

Tutto ciò significa che il green pass non è criticabile? Ovviamente no. Molti profili della sua regolazione sono tutt’altro che convincenti: dal fatto che vale a eludere una chiara assunzione di responsabilità da parte dello Stato, rimettendo ai singoli la scelta se vaccinarsi o no; al suo utilizzo a protezione di situazioni di privilegio, come avviene in modo eclatante nel caso dei treni (dove è richiesto per l’alta velocità, ma non per i, ben più frequentati, treni dei pendolari); al rischio che possa operare come alibi, per le pubbliche autorità, per non intervenire attraverso misure strutturali come il potenziamento del trasporto pubblico, l’assunzione di un numero adeguato di insegnanti, l’attribuzione al Servizio sanitario nazionale di tutte le risorse di cui necessita. E altro si potrebbe aggiungere. Il punto, però, è che tutte queste condivisibili critiche di merito, su cui sarebbe opportuno si concentrasse il dibattito, risultano indebolite e messe in secondo piano dal tentativo di “forzare la mano”, sventolando allarmisticamente profili di incostituzionalità dal fondamento inconsistente.

Mercoledì, Settembre 22, 2021

Il green pass è criticabile? Ovviamente sì. Alcuni profili della sua regolazione sono tutt’altro che convincenti. Il punto, però, è che tutte le critiche di merito, su cui sarebbe opportuno si concentrasse il dibattito, risultano indebolite dal tentativo di “forzare la mano”, sventolando allarmisticamente profili di incostituzionalità dal fondamento inconsistente.

Tra i rilievi critici riservati al green pass, tre sembrano maggiormente significativi dal punto di vista del diritto costituzionale.

Per il primo rilievo, il green pass sarebbe un provvedimento lesivo del principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione), perché discrimina tra cittadini vaccinati e cittadini non vaccinati, impedendo ai secondi il pieno godimento dei loro diritti costituzionali. In realtà, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha da sempre precisato che il principio di uguaglianza non impone affatto di trattare tutti nello stesso modo: impone di trattare nello stesso modo coloro che sono, tra loro, simili e di trattare diversamente coloro che sono, tra loro, diversi.

Diario Civile
Francesco Pallante
Francesco Pallante
francesco.pallante@unito.it

Professore associato di Diritto Costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino

gli articoli di Francesco Pallante

L’emergenza nella Costituzione

Diversamente da altre carte fondamentali, la Costituzione italiana non contiene una disciplina generale volta a far fronte alle situazioni di emergenza. Ma non si tratta di una dimenticanza.

I costituenti sapevano benissimo che la predeterminazione dell’autorità a cui spetta il compito di decidere sullo e nello «stato di eccezione» è tema centrale delle riflessioni di diritto costituzionale, avendo per riferimenti obbligati, sul piano ideale, gli studi di Carl Schmitt e, sul piano storico l’art. 48 della Costituzione di Weimar.

La Costituente ne discusse con riguardo sia al verificarsi di calamità naturali di rilievo nazionale, sia alla proclamazione dello stato d’assedio, con correlata sospensione dei diritti costituzionali, addivenendo infine alla scelta di regolare non l’emergenza in sé, ma i poteri esercitabili dal governo nei casi straordinari di necessità e urgenza (art. 77 Cost.) e in seguito alla deliberazione dello stato di guerra da parte delle Camere (art. 78 Cost.).

Quanto alla prima ipotesi – calamità naturali – nella seduta plenaria del 5 dicembre 1947 fu ritenuto sufficiente approvare un ordine del giorno, volto a ribadire la «tradizione italiana» di «unità morale e […] solidarietà […] di fronte alle sventure nazionali» (on. Gasparotto - Pli), così formulato: «L’Assemblea Costituente riconosce, coerentemente alle tradizioni del Paese, che le calamità nazionali impegnano la solidarietà della Nazione rispetto ai danni e agli oneri che da esse derivano».

La seconda ipotesi – stato d’assedio – provocò una discussione più lunga e approfondita. Avviato in sede di prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione (grazie a una proposta dell’on. Lucifero – Pli) sull’introduzione della censura militare in tempo di guerra, il dibattito si sviluppò, anche per opera della prima Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, intorno all’idea, ripresa dalla Costituzione francese, di prevedere che, in caso di «pericolo» per la Repubblica, la legge potesse, per un periodo massimo di sei mesi, prevedere forme e limiti della sospensione dei diritti costituzionali. A chi riteneva pericoloso anche solo prevedere un’ipotesi di questo genere, ricordando gli abusi passati (on. Togliatti - Pci) o paventando le difficoltà di tornare dallo stato d’eccezione alla normalità (on. Dossetti - Dc), replicò chi riteneva pericoloso non prevedere, e disciplinare, un’ipotesi di questo genere, dal momento che, in ogni caso, lo stato di necessità, una volta venutosi a verificare, s’impone in via di fatto (on. La Rocca - Pci e, in maniera più sfumata, on. Mortati - Dc e on. Perassi - Pri). Come accennato, la questione finì poi assorbita nei dibattiti relativi alla decretazione d’urgenza (art. 77 Cost.) e alla regolazione dei poteri nello Stato di guerra (art. 78 Cost.), situazioni, entrambe, risolte affidando al Parlamento un ruolo di vincolo, successivo o preventivo, all’operato del Governo.

I due articoli ora richiamati – artt. 77 e 78 Cost. – non rappresentano, tuttavia, le sole disposizioni costituzionali in cui si ode il riverbero della discussione sullo stato d’eccezione. Impossibile non coglierne un’eco altresì nell’art. 16 Cost., là dove, al primo comma, si legge che «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza». Si tratta, certamente, di una limitazione dalla portata non generale, ma circoscritta a uno specifico diritto costituzionale; e, tuttavia, soprattutto con il lockdown della primavera del 2020 abbiamo potuto ben cogliere le ampie ripercussioni che tale misura di contenimento è suscettibile di esplicare sull’intero sistema dei diritti, dal momento che quasi ogni altra libertà non può essere esercitata che muovendosi da casa per incontrarsi con altre persone.

A sua volta, il riferimento ai «motivi di sanità» contenuto nell’art. 16 Cost. rinvia all’art. 32 Cost., che qualifica la salute come «fondamentale diritto dell’individuo» e «interesse della collettività». Di nuovo, oggi più che mai siamo in condizione di cogliere il significato profondo di tali previsioni costituzionali e di attribuire valore alla dottrina e alla giurisprudenza (a partire da C. cost., sent. n. 54/1979) che riconoscono una posizione peculiare, tra i diritti costituzionali, al diritto alla salute e al connesso diritto alla vita (a sua volta riconducibile all’art. 2 Cost.). E, infatti, mentre tutti gli altri diritti sono reciprocamente bilanciabili, il diritto alla vita è l’unico che merita di essere qualificato come assoluto: vale a dire, destinato a prevalere sempre sugli altri, per la ragione – tanto semplice, quanto intuitiva – che la vita è precondizione necessaria affinché qualsiasi altro diritto possa essere goduto.

Viste in questa prospettiva, le limitazioni dei diritti costituzionali decise per il contenimento della pandemia sembrano compatibili con il dettato della Carta fondamentale, a condizione che: (a) siano assunte nel rispetto delle forme previste (cosa che si può dubitare sia accaduta nel caso del d.l. n. 6/2020); (b) siano effettivamente adeguate e proporzionate a far fronte ai rischi esistenti e idonee a consentirne il superamento (cosa che si può dubitare sia accaduta, nella primavera del 2020, nei casi delle mancate “zone rosse” nella bergamasca e, forse, nella successiva decisione di imporre un lockdown generalizzato a tutta Italia, dunque anche alle zone del Paese non investite a piena forza dalla pandemia), (c) siano controllabili alla luce dei dati sull’andamento della situazione epidemiologica e delle conseguenti valutazioni tecnico-scientifiche (cosa che si può dubitare sia accaduta fintanto che i verbali del Comitato tecnico-scientifico sono rimasti secretati).

Martedì, Aprile 13, 2021

Diversamente da altre carte fondamentali, la Costituzione italiana non contiene una disciplina generale volta a far fronte alle situazioni di emergenza. Ma non si tratta di una dimenticanza.

I costituenti sapevano benissimo che la predeterminazione dell’autorità a cui spetta il compito di decidere sullo e nello «stato di eccezione» è tema centrale delle riflessioni di diritto costituzionale, avendo per riferimenti obbligati, sul piano ideale, gli studi di Carl Schmitt e, sul piano storico l’art. 48 della Costituzione di Weimar.

Back to top

Dipartimento
di Giurisprudenza

Università di Torino
Campus Luigi Einaudi
Lungo Dora Siena 100
10153 Torino

e-mail: info@progettocivile.eu

Il Progetto Civile è realizzato con i contributi di

© CIVILE 2021