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Diario Civile
Francesco Pallante
Francesco Pallante
francesco.pallante@unito.it

Professore associato di Diritto Costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino

gli articoli di Francesco Pallante

L’emergenza nella Costituzione

Diversamente da altre carte fondamentali, la Costituzione italiana non contiene una disciplina generale volta a far fronte alle situazioni di emergenza. Ma non si tratta di una dimenticanza.

I costituenti sapevano benissimo che la predeterminazione dell’autorità a cui spetta il compito di decidere sullo e nello «stato di eccezione» è tema centrale delle riflessioni di diritto costituzionale, avendo per riferimenti obbligati, sul piano ideale, gli studi di Carl Schmitt e, sul piano storico l’art. 48 della Costituzione di Weimar.

La Costituente ne discusse con riguardo sia al verificarsi di calamità naturali di rilievo nazionale, sia alla proclamazione dello stato d’assedio, con correlata sospensione dei diritti costituzionali, addivenendo infine alla scelta di regolare non l’emergenza in sé, ma i poteri esercitabili dal governo nei casi straordinari di necessità e urgenza (art. 77 Cost.) e in seguito alla deliberazione dello stato di guerra da parte delle Camere (art. 78 Cost.).

Quanto alla prima ipotesi – calamità naturali – nella seduta plenaria del 5 dicembre 1947 fu ritenuto sufficiente approvare un ordine del giorno, volto a ribadire la «tradizione italiana» di «unità morale e […] solidarietà […] di fronte alle sventure nazionali» (on. Gasparotto - Pli), così formulato: «L’Assemblea Costituente riconosce, coerentemente alle tradizioni del Paese, che le calamità nazionali impegnano la solidarietà della Nazione rispetto ai danni e agli oneri che da esse derivano».

La seconda ipotesi – stato d’assedio – provocò una discussione più lunga e approfondita. Avviato in sede di prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione (grazie a una proposta dell’on. Lucifero – Pli) sull’introduzione della censura militare in tempo di guerra, il dibattito si sviluppò, anche per opera della prima Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, intorno all’idea, ripresa dalla Costituzione francese, di prevedere che, in caso di «pericolo» per la Repubblica, la legge potesse, per un periodo massimo di sei mesi, prevedere forme e limiti della sospensione dei diritti costituzionali. A chi riteneva pericoloso anche solo prevedere un’ipotesi di questo genere, ricordando gli abusi passati (on. Togliatti - Pci) o paventando le difficoltà di tornare dallo stato d’eccezione alla normalità (on. Dossetti - Dc), replicò chi riteneva pericoloso non prevedere, e disciplinare, un’ipotesi di questo genere, dal momento che, in ogni caso, lo stato di necessità, una volta venutosi a verificare, s’impone in via di fatto (on. La Rocca - Pci e, in maniera più sfumata, on. Mortati - Dc e on. Perassi - Pri). Come accennato, la questione finì poi assorbita nei dibattiti relativi alla decretazione d’urgenza (art. 77 Cost.) e alla regolazione dei poteri nello Stato di guerra (art. 78 Cost.), situazioni, entrambe, risolte affidando al Parlamento un ruolo di vincolo, successivo o preventivo, all’operato del Governo.

I due articoli ora richiamati – artt. 77 e 78 Cost. – non rappresentano, tuttavia, le sole disposizioni costituzionali in cui si ode il riverbero della discussione sullo stato d’eccezione. Impossibile non coglierne un’eco altresì nell’art. 16 Cost., là dove, al primo comma, si legge che «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza». Si tratta, certamente, di una limitazione dalla portata non generale, ma circoscritta a uno specifico diritto costituzionale; e, tuttavia, soprattutto con il lockdown della primavera del 2020 abbiamo potuto ben cogliere le ampie ripercussioni che tale misura di contenimento è suscettibile di esplicare sull’intero sistema dei diritti, dal momento che quasi ogni altra libertà non può essere esercitata che muovendosi da casa per incontrarsi con altre persone.

A sua volta, il riferimento ai «motivi di sanità» contenuto nell’art. 16 Cost. rinvia all’art. 32 Cost., che qualifica la salute come «fondamentale diritto dell’individuo» e «interesse della collettività». Di nuovo, oggi più che mai siamo in condizione di cogliere il significato profondo di tali previsioni costituzionali e di attribuire valore alla dottrina e alla giurisprudenza (a partire da C. cost., sent. n. 54/1979) che riconoscono una posizione peculiare, tra i diritti costituzionali, al diritto alla salute e al connesso diritto alla vita (a sua volta riconducibile all’art. 2 Cost.). E, infatti, mentre tutti gli altri diritti sono reciprocamente bilanciabili, il diritto alla vita è l’unico che merita di essere qualificato come assoluto: vale a dire, destinato a prevalere sempre sugli altri, per la ragione – tanto semplice, quanto intuitiva – che la vita è precondizione necessaria affinché qualsiasi altro diritto possa essere goduto.

Viste in questa prospettiva, le limitazioni dei diritti costituzionali decise per il contenimento della pandemia sembrano compatibili con il dettato della Carta fondamentale, a condizione che: (a) siano assunte nel rispetto delle forme previste (cosa che si può dubitare sia accaduta nel caso del d.l. n. 6/2020); (b) siano effettivamente adeguate e proporzionate a far fronte ai rischi esistenti e idonee a consentirne il superamento (cosa che si può dubitare sia accaduta, nella primavera del 2020, nei casi delle mancate “zone rosse” nella bergamasca e, forse, nella successiva decisione di imporre un lockdown generalizzato a tutta Italia, dunque anche alle zone del Paese non investite a piena forza dalla pandemia), (c) siano controllabili alla luce dei dati sull’andamento della situazione epidemiologica e delle conseguenti valutazioni tecnico-scientifiche (cosa che si può dubitare sia accaduta fintanto che i verbali del Comitato tecnico-scientifico sono rimasti secretati).

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13 Aprile, 2021

Diversamente da altre carte fondamentali, la Costituzione italiana non contiene una disciplina generale volta a far fronte alle situazioni di emergenza. Ma non si tratta di una dimenticanza.

I costituenti sapevano benissimo che la predeterminazione dell’autorità a cui spetta il compito di decidere sullo e nello «stato di eccezione» è tema centrale delle riflessioni di diritto costituzionale, avendo per riferimenti obbligati, sul piano ideale, gli studi di Carl Schmitt e, sul piano storico l’art. 48 della Costituzione di Weimar.

La Costituente ne discusse con riguardo sia al verificarsi di calamità naturali di rilievo nazionale, sia alla proclamazione dello stato d’assedio, con correlata sospensione dei diritti costituzionali, addivenendo infine alla scelta di regolare non l’emergenza in sé, ma i poteri esercitabili dal governo nei casi straordinari di necessità e urgenza (art. 77 Cost.) e in seguito alla deliberazione dello stato di guerra da parte delle Camere (art. 78 Cost.).

Quanto alla prima ipotesi – calamità naturali – nella seduta plenaria del 5 dicembre 1947 fu ritenuto sufficiente approvare un ordine del giorno, volto a ribadire la «tradizione italiana» di «unità morale e […] solidarietà […] di fronte alle sventure nazionali» (on. Gasparotto - Pli), così formulato: «L’Assemblea Costituente riconosce, coerentemente alle tradizioni del Paese, che le calamità nazionali impegnano la solidarietà della Nazione rispetto ai danni e agli oneri che da esse derivano».

La seconda ipotesi – stato d’assedio – provocò una discussione più lunga e approfondita. Avviato in sede di prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione (grazie a una proposta dell’on. Lucifero – Pli) sull’introduzione della censura militare in tempo di guerra, il dibattito si sviluppò, anche per opera della prima Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, intorno all’idea, ripresa dalla Costituzione francese, di prevedere che, in caso di «pericolo» per la Repubblica, la legge potesse, per un periodo massimo di sei mesi, prevedere forme e limiti della sospensione dei diritti costituzionali. A chi riteneva pericoloso anche solo prevedere un’ipotesi di questo genere, ricordando gli abusi passati (on. Togliatti - Pci) o paventando le difficoltà di tornare dallo stato d’eccezione alla normalità (on. Dossetti - Dc), replicò chi riteneva pericoloso non prevedere, e disciplinare, un’ipotesi di questo genere, dal momento che, in ogni caso, lo stato di necessità, una volta venutosi a verificare, s’impone in via di fatto (on. La Rocca - Pci e, in maniera più sfumata, on. Mortati - Dc e on. Perassi - Pri). Come accennato, la questione finì poi assorbita nei dibattiti relativi alla decretazione d’urgenza (art. 77 Cost.) e alla regolazione dei poteri nello Stato di guerra (art. 78 Cost.), situazioni, entrambe, risolte affidando al Parlamento un ruolo di vincolo, successivo o preventivo, all’operato del Governo.

I due articoli ora richiamati – artt. 77 e 78 Cost. – non rappresentano, tuttavia, le sole disposizioni costituzionali in cui si ode il riverbero della discussione sullo stato d’eccezione. Impossibile non coglierne un’eco altresì nell’art. 16 Cost., là dove, al primo comma, si legge che «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza». Si tratta, certamente, di una limitazione dalla portata non generale, ma circoscritta a uno specifico diritto costituzionale; e, tuttavia, soprattutto con il lockdown della primavera del 2020 abbiamo potuto ben cogliere le ampie ripercussioni che tale misura di contenimento è suscettibile di esplicare sull’intero sistema dei diritti, dal momento che quasi ogni altra libertà non può essere esercitata che muovendosi da casa per incontrarsi con altre persone.

A sua volta, il riferimento ai «motivi di sanità» contenuto nell’art. 16 Cost. rinvia all’art. 32 Cost., che qualifica la salute come «fondamentale diritto dell’individuo» e «interesse della collettività». Di nuovo, oggi più che mai siamo in condizione di cogliere il significato profondo di tali previsioni costituzionali e di attribuire valore alla dottrina e alla giurisprudenza (a partire da C. cost., sent. n. 54/1979) che riconoscono una posizione peculiare, tra i diritti costituzionali, al diritto alla salute e al connesso diritto alla vita (a sua volta riconducibile all’art. 2 Cost.). E, infatti, mentre tutti gli altri diritti sono reciprocamente bilanciabili, il diritto alla vita è l’unico che merita di essere qualificato come assoluto: vale a dire, destinato a prevalere sempre sugli altri, per la ragione – tanto semplice, quanto intuitiva – che la vita è precondizione necessaria affinché qualsiasi altro diritto possa essere goduto.

Viste in questa prospettiva, le limitazioni dei diritti costituzionali decise per il contenimento della pandemia sembrano compatibili con il dettato della Carta fondamentale, a condizione che: (a) siano assunte nel rispetto delle forme previste (cosa che si può dubitare sia accaduta nel caso del d.l. n. 6/2020); (b) siano effettivamente adeguate e proporzionate a far fronte ai rischi esistenti e idonee a consentirne il superamento (cosa che si può dubitare sia accaduta, nella primavera del 2020, nei casi delle mancate “zone rosse” nella bergamasca e, forse, nella successiva decisione di imporre un lockdown generalizzato a tutta Italia, dunque anche alle zone del Paese non investite a piena forza dalla pandemia), (c) siano controllabili alla luce dei dati sull’andamento della situazione epidemiologica e delle conseguenti valutazioni tecnico-scientifiche (cosa che si può dubitare sia accaduta fintanto che i verbali del Comitato tecnico-scientifico sono rimasti secretati).

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